Milo De Angelis, Linea intera, linea spezzata, Mondadori 2021
Figura tra le più rilevanti e apprezzate nella poesia, non solo italiana, di questi decenni, Milo De Angelis torna con un’opera che ne conferma e ne accresce il carattere specifico e l’imprescindibile valore. Il poeta ci conduce attraverso la pervasiva tensione delle sue esplorazioni, ci racconta dei fantasmi che affiorano dalla memoria, a volte ingannevolmente dolci ma ben più spesso sinistri. Fantasmi provenienti da zone remote, a partire dall’«oceano dell’infanzia», assorbiti in un presente che ne rispecchia un forte senso inquieto di solitudine e silenzio. Prevale l’ambientazione in una realtà urbana con i suoi concreti dettagli, dove l’io lirico compie viaggi notturni, tra autobus, supermercati o sale cinematografiche, «nel dedalo / delle piccole convulsioni» di una quotidianità opaca. La narrazione che ne scaturisce è ricca di figure e personaggi, nello squallore di «un male senza origine»; l’atmosfera è quella di un perenne esilio, pur con improvvisi, rapidi squarci di una luce viva per quanto molto effimera, in quadri di sapore a volte onirico. Circola dunque, in Linea intera, linea spezzata, la presenza costante del ricordo, sempre attivo e formicolante nelle sue briciole più indelebili, nelle sue molteplici immagini, misteriosamente capaci di oltrepassare se stesse. E insieme si manifesta con vibrazioni inattese tanta “prosa”, qui opportunamente giostrata in una versificazione aperta, duttile, che ne modifica i contorni con una capacità immediata di coinvolgimento comunicativo. Un percorso, quello di questo libro, articolato e insieme unitario, che si impone nella sobrietà cupamente orizzontale delle emozionanti parti che precedono – spesso anticipandola nei toni – quella verticalità vibrante e tagliente in profondo che si delinea nel decisivo capitolo finale.
Isabella Leardini: Una stagione d’aria, Donzelli Editore Roma 2017
Il vero amore all’inizio non nuota entra in acqua con i piedi sui sassi. Hanno paura di uno scherzo ma si tengono più strette alla mano. Hanno aspettato per tutta la vita il privilegio di essere stupide le ragazze che ridono nel mare.
Talento riconosciuto all’età di vent’anni da Maria Luisa Spaziani, Franco Loi, Sergio Zavoli, in questo nuovo libro – opera matura cui ha lavorato per dieci anni – Isabella Leardini inscena un Canzoniere d’amore rivolto a diverse generazioni di donne e di uomini. Lo sfondo è quello della Pensione Irene, luogo di vacanza della riviera romagnola nato nel secondo dopoguerra dai risparmi della famiglia di Isabella e divenuto insegna del turismo di massa. Nell’ombra del nome dato all’albergo (una ragazza amata da un familiare in tempo di guerra), e nello specchio delle vacanze altrui, si snoda una storia d’amore che non è soltanto una questione privata. È in particolare alle donne cresciute negli anni ottanta e novanta –ragazze educate a un’eterna stagione adolescenziale, poi destinate a fine millennio al precariato professionale e matrimoniale – che i versi di Isabella Leardini puntano lo sguardo. Una stagione d’aria è anche la storia della fine della giovinezza che preme per entrare in un’età nuova. Il racconto arioso e doloroso di un’Italia che fatica a cambiare e appare come un paese metafisico, o eternamente balneare, dove il ripetersi delle stagioni femminili incrocia destini diversi. Protagonista è una voce sola che accoglie le voci di altre «ragazze strane», «le ragazze del mare» archetipo nella contemporaneità di una classicità assorbita con naturale sapienza. Tra loroil lettore potrebbe scoprire sotto traccia la presenza di qualche moderna Nausica; o ritrovare la Sirenetta di Andersen, e prima ancora quella Francesca da Rimini che rappresenta la vera «rondine bianca» di un libro di chiara ascendenza classicista. Una poesia,questa di Una stagione d’aria, destinata a resistere e a “restare” per una generazione di donne che ancora faticano a imporre il proprio ruolo nella società.
Gianni D’Elia: I fiori del mare, Einaudi 2015
Con i versi della sua nuova raccolta D’Elia disegna i luoghi della costa marchigiana rielaborati fra il ricordo, il sogno e la storia. È l’idea di un «canzoniere adriatico», anticipata ai tempi di Notte privata ma mai compiutamente realizzata prima d’ora. E la parafrasi baudelairiana del titolo non è un gioco gratuito, dato che l’aura della Riviera Adriatica, nella scrittura poetica di D’Elia, tende allo Spleen. La sonorità delle rime fa invece pensare a una riscoperta di Saba (anch’egli poeta adriatico) ma non alleggerisce la trama filosofica delle meditazioni, che sembrano in dialogo nel tempo con un altro marchigiano: Giacomo Leopardi. Soprattutto nell’ultima parte del libro si addensano riflessioni in cui D’Elia si rivela come un mistico laico, che non ha certo rinnegato le radici politiche e pasoliniane della sua poesia, ma che le ha arricchite con l’approfondimento della tradizione poetica italiana e con l’esperienza di vita.
Patrizia Valduga: Libro delle laudi, Einaudi 2012
Dopo alcuni anni di silenzio, Patrizia Valduga riparte da dove eravamo rimasti, e cioè dalle poesie pubblicate nella Postfazione agli Ultimi versi di Raboni. Questa dolente preghiera iniziale dà alla nuova raccolta il senso della continuità e di un dialogo ininterrotto che si dirama però, nelle due sezioni successive, in direzioni diverse e complementari. Da un lato una sorprendente autoanalisi tra biografia, psicologia e letteratura, dall’altro lo scontro con alcuni aspetti della società contemporanea attraverso una sapiente rigenerazione dell’invettiva come genere poetico. Dall’interiorità più segreta all’esterno e al collettivo con ritorno all’interiorità e alla preghiera, a chiudere in un ciclo tutto il libro. Apparentemente è la raccolta più varia e diversificata di Patrizia Valduga, in realtà è forse la più compatta, legata a un unico fortissimo nodo ispirativo.